Alberi monumentali: patriarchi del verde pubblico

Un albero nei disegni di bambino non manca mai. L’animo puro dell’infanti gli riconosce una sorta di sacralità, un fulcro attorno al quale giocare, rincorrersi, sedersi per riposare. Gli alberi sono spettatori silenti di un vivere quotidiano e alcuni di loro hanno fatto da quinta alla vita di numerose generazioni. Alcuni sono veri e propri monumenti naturali. La Legge n. 10/2013, che conferma l’obbligo per i comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti di mettere a dimora un albero per ogni nuovo nato o per ogni nuovo bimbo adottato, resta disattesa. Non si pianta, ma anzi si abbatte in nome della sicurezza. Ma nel tessuto urbano gli alberi non dovrebbero mancare. A Bracciano sopravvivono decine di alberi monumentali. A censirli, nel 2012, Massimo Felicetti, Adolfa Pinelli e Alessio Telloni che nel volumetto Alberi di pregio li descrissero uno per uno con schede e di note storico-naturalistiche. C’è il Castagno di Fra Crispino ai Cappuccini che non se la passa bene, c’è il Cedro del Libano nel giardino segreto del castello Orsini Odescalchi, c’è il Cipresso di San Liberato, c’è il Carpino bianco di Vicarello. E non solo. Maestoso e silente campeggia nel giardino pubblico di un ippocastano. Ha meno di 100 anni, una circonferenza di 340 centimetri, una altezza di oltre 24 metri. Di fronte un grande cedro dell’Himalaya con una circonferenza del tronco di 382 metri e 30 metri di altezza. Patriarchi del verde pubblico.

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