Quarantre quaderni dall’esilio svizzero al 1990 Amintore Fanfani: pubblicati i Diari
Per Francesco Paolo Casavola: “era temuto dai partiti dell’opposizione social comunista come il più incisivo antagonista sul terreno delle riforme per i ceti sociali più deboli”
Verranno presentati l’11 luglio a Palazzo Giustiniani gli scritti dello statista, vera fonte per riscrivere ed indagare l’ascesa del potere democristiano. Quarantre quaderni trascritti oggi custoditi dall’Archivio Storico del Senato della Repubblica
Un Amintore Fanfani, non democristiano. Sembra impossibile. Eppure ai suoi esordi il pluripresidente del Consiglio dei ministri, emblema stesso del partito dello scudo crociato, era critico verso le posizione della nascente Dc. E’ una storia tutta da riscrivere e da indagare quella che emerge dai Diari scritti tra il 1943 ed il 1963 di Amintore Fanfani che proprio in questi giorni, l’11 luglio, dopo un lavoro durato anni da parte dell’Archivio Storico del Senato vengono presentati ufficialmente al pubblico in un incontro a Palazzo Giustiniani alla presenza del presidente Pietro Grasso.
Quaratatre tra quaderni ed agende dello statista salvati miracolosamente dall’incendio della casa di via Platone dove lo statista viveva e che oggi sono patrimonio dell’Archivio Storico della Senato che li ha ricevuti in dono dalla Fondazione Amintore Fanfani. Un patrimonio di scritti, fotografie, documenti conservati tra le pagine e disegni che lo stesso Fanfani voleva tenere solamente per sé, custodendoli gelosamente in uno stipetto sotto chiave – “perché non desidero infastidire i vivi né intendo disturbare i morti” - e fino ad oggi inediti se non per qualche sporadica pagina.
Il primo dei volumi, nati dalla trascrizioni di quaderni, sono i diari svizzeri. Fanfani li iniziò a scrivere da Rapperswill (Berna) dove era in esilio con alcuni militari. Un esilio durato 658 giorni e iniziato nei giorni successivi al tragico 8 settembre del 1943.
E’ lì, in Svizzera, che Fanfani organizza per i suoi commilitoni anche dei veri ed propri corsi universitari che successivamente, a guerra ultimata, otterranno il riconoscimento accademico. Il sottotenente di fanteria addetto alla contabilità ed il professore conta i giorni, titola la giornata, racconta non solo la sua vita di esiliato ma anche quella degli altri che con lui condividono questa vita. Il 15 maggio del 1944 in una pagina titolata “Nervosismo”, 241° giorno dell’esilio Fanfani scriveva: “Forse la stagione, forse la vana attesa di avvenimenti decisivi che ci avvicinino a ritorno mi hanno agitato di notte e di giorno, quindi il mio lavoro ha sostato. Sono in ritardo sul preventivo, proprio come gli alleati”. Se Fanfani dalla Svizzera scrive di tutto e confida alle pagine bianche le impressioni della sua giornata di esiliato, il senso ed il tono dei suoi scritti, o meglio dei suoi appunti annotati per sua esclusiva memoria, in agende di vario tipo, da quelle della Settimana Incom a quelle similpelle dell’Ina, cambiano nel Dopoguerra. Fanfani tornerà infatti a scrivere con costanza solo nel 1949 e lo farà fino al 1990. Tutto il periodo della Costituente, al quale Fanfani diede da economista qual era un grande contributo, non compare nei suoi scritti oggi pubblicati e in via di pubblicazione (In programmazione l’uscita ogni due anni di altri quattro volumi dei suoi diari).
Per gli studiosi, per gli addetti ai lavori, i Diari di Amintore Fanfani colmano un grande vuoto, quello del periodo dell’ascesa del potere democristiano. Fanfani non è infatti un democristiano della prima ora ma sempre vivi sono stati i suoi fervori anticomunisti. E’ piuttosto, prima e dopo la guerra, un esponente di punta di quello che viene all’epoca indicato come il “gruppo dei professorini” o “di casa Padovani” che oltre a Fanfani riunisce, tra gli altri, anche Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati. Solo con l’“imprimatur” di Papa Pio XII (“egli mi disse – scrive Fanfani – di seguire la strada meno comoda e della maggiore perfezione”) inoltre Fanfani decide, compiendo una svolta nella sua vita, di dedicarsi alla politica attiva piuttosto che a quella accademica che lo vedeva, grazie al diretto sostegno di Agostino Gemelli, professore stimato e studioso attento sulle origini del
capitalismo in posizione contrapposte alla visione di Max Weber che le fondava sull’etica protestante.
La lettura politica dei diari in qualche modo è contenuta nelle introduzioni, la prima a cura di Francesco Paolo Casavola, l’altra di Renato Moro (non da meno la testimonianza di Ignazio Contu che fu stretto collaboratore dello statista). Casavola incentra il suo intervento sul Fanfani che reclama un’economia votata al sociale fin dall’esperienza costituente con emendamenti chiave nell’articolo 1 (“fu autore – scrive Casavola - di un emendamento per la definizione nell’articolo 1 della Costituzione, della Repubblica democratica , proposta che sostituì quella respinta avanzata da Basso e Amendola, e che suonava come una formula classista) e 4 della Costituzione secondo comma. Scrive in chiare note Casavola: “se non fosse entrato il lavoro, nella descritta accezione fanfaniana, nella definizione dell’Italia, si sarebbe restati a discutere tra i costituzionalisti su democrazia e sovranità popolare, eredità ottocentesca, venendo a mancare il profilo più moderno dello Stato sociale”. (di Fanfani si ricordino peraltro il libro Colloqui sui poveri e la tradizione di ospitare a cena nella propria casa periodicamente persone bisognose). Citando il botta e risposta tra Fanfani e De Gasperi del 10 gennaio 1950 (pareggio di bilancio De Gasperi o interventi sull’occupazione Fanfani), Casavola ricorda “il piano Ina-Case, detto Piano Fanfani” che “dette 350mila abitazioni a due milioni e duecentomila persone” ma soprattutto traccia un ritratto della vera figura politica dello stesso Fanfani. “Fin dal suo ingresso nelle responsabilità di partito e di governo, Fanfani apparve il difensore degli ideali di solidarietà cristiana per una società nuova, quale la civiltà liberale non aveva potuto immaginare, impedita dal suo spirito individualistico. Per questo – scrive ancora Casavola – Fanfani non godè simpatie a destra degli alleati di governo della Democrazia cristiana, e disturbò il disegno degasperiano di coalizioni a tutela prioritaria delle libertà democratiche e del bilancio dello Stato. E del pari – sottolinea ancora il presidente emerito della Corte costituzionale – era temuto dai partiti dell’opposizione social comunista come il più incisivo antagonista sul terreno delle riforme per i ceti sociali più deboli, che rappresentavano allora, all’uscita della guerra, la maggior parte del nostro popolo. Da questo punto di osservazione – sottolinea Casavola – Fanfani può essere interpretato come il leader simbolo dell’intera vicenda della Democrazia cristiana”.
Il più “comunista” dei democrististiani, si potrebbe dire.
Di estremo interesse anche il parallelo tra Aldo Moro e Fanfani tracciato da Renato Moro nell’introduzione. “Le motivazioni – scrive Moro – che spinsero all’ingresso nella Dc finirono per essere sostanzialmente opposte. Nella primavera del 1945 Moro sviluppò una riflessione intensa sul ruolo del “centro”, come luogo essenziale di incontro ed equilibrio politico, così come un confronto via via più serrato con le posizioni della tradizione cattolico-democratica, con Sturzo e con De Gasperi. Al contrario Fanfani – scrive Renato Moro – che non aveva alcun apprezzamento per il ruolo dei “centri”, aderì alla Dc senza modificare in modo sostanziale le sue idee di partenza, sulla base della convinzione che essa fosse, nonostante tutto, aperta per un impegno di profondo rinnovamento da parte delle nuove tendenze giovanili”.

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